È a volte singolare, consuetudine oramai consolidata da millenni, la predilezione della Storia per luoghi quasi sconosciuti, lontani dai centri del potere ma resi magici da una sorta di incantesimo fatato che li protegge dalla mano distruttrice dell'uomo celandoli agli occhi di quest'ultimo. Questi luoghi vengono spesso eletti a teatro di grandi avvenimenti in grado di determinare il destino di interi popoli, con battaglie, cospirazioni o martiri.
Al vasto elenco di codeste contrade appartiene anche una località rurale situata nei pressi della nostra città, che lo storico Italo Ciaurro, nel proprio libro L'Umbria e il Risorgimento, così descrive: Poco lontana da Terni, nella proprietà dei Faustini che si stende a sinistra del Nera fra il territorio di Collescipoli e quello di Narni. Località isolata, nascosta da una ricca ed esuberante vegetazione, solitaria e lontana da rumori e da indiscrezioni, che ha qualche cosa di intimo e di riservato.
Fu tuttavia proprio da tale luogo consacrato alla quiete ed alla meditazione che il patriota Pietro Faustini diede avvio ad uno dei molteplici tentativi garibaldini di liberare dal giogo francese e teocratico Roma, unica vera ed indiscussa degna capitale d'Italia. Correva allora l'anno 1867 ed il novello Regno italico, manchevole ancora del Lazio, aveva già compiuto i propri primi passi da Nazione una ed indipendente, trasferendo sin dal 1866 la sede del parlamento da Torino a Firenze in seguito alla stipulazione del Concordato di Settembre.
Era stata combattuta a fianco del Regno di Prussia l'umiliante ma vittoriosa Terza Guerra di Indipendenza, che aveva donato il Veneto alla Monarchia Sabauda e già un tentativo per l'affrancamento della città capitolina guidato dall'Eroe dei Due Mondi era fallito con la disfatta dell'Aspromonte per mezzo dello stesso esercito regolare, ma ancora tutti gli sguardi d'Italia erano rivolti a Roma. Mazzini sognava in essa dei nuovi vespri repubblicani che gli avrebbero concesso di divenire nuovamente triumviro, come nel 1849, e di guidare da quella posizione la trattativa con il potere regio per la convocazione di un'assemblea costituente. Garibaldi la voleva ad ogni costo e con chiunque sottrarre a quello che definiva il dominio pretesco, mentre il governo moderato di Urbano Rattazzi considerava la sua liberazione come tappa fondamentale per il riconoscimento dell'Italia come grande potenza europea, ma aveva le mani legate a causa della protezione che ad essa assicurava Napoleone III Imperatore. Tale situazione costrinse il primo ministro ad un ambiguo comportamento sospeso tra la speranza che una sollevazione popolare avesse legittimato una spedizione armata e fra la formale condanna di ogni sorta di iniziativa volta a minare la sicurezza dei domìni pontifici, e fu a causa di ciò che a compiere la prima mossa fu il Generale.
Nella mente di quest'ultimo, già nella prima metà del 1867, andava delineandosi quella che nell'Autunno seguente sarebbe divenuta la Campagna disastrosamente conclusasi a Mentana, ma ancor prima volle compiere il tentativo di far scoccare, grazie ad una spedizione militare di minore entità, una scintilla insurrezionale sulla quale avrebbe soffiato il vento della mobilitazione nazionale, in modo da risvegliare in tutti gli Italiani il grande fuoco del Patriottismo. Una volta aver tracciato tale disegno inviò da Firenze due suoi II ufficiali, i garibaldini Galliano e Perelli, a Terni, scelta come base organizzativa del movimento. Qui entrarono in contatto con il già menzionato Pietro Faustini il quale, entusiasta, offrì senza esitazioni la propria spada all'iniziativa.
Egli, una volta aver creato un gruppo di 105 volontari radunato presso il Convento di San Martino, allora fuori le mura della città, nottetempo e tentando di passare inosservato li guidò fino alla propria casa di campagna posta per l'appunto a Pescecotto, ove li sfamò a proprie spese e li equipaggiò con fucili dotati di baionetta già in quella località depositati sin dal 1862. Da li, il 18 giugno, intrapresero la strada che li avrebbe condotti alla capitale, attraversando dunque il Nera grazie all'imbarcazione del Faustini, ed oltrepassarono Lugnola, Configni, Vagone, Rocca Antica ed Aspra, fino a quando, intercettati sui Monti della Fara dai Carabinieri allertati dall'antidemocratico Pasquale de Mauro, vennero in gran parte arrestati, mentre solo un piccolo gruppo guidato dal Galliano, abbandonato perfino dal proprio compagno Perelli, che accusò di diserzione e tradimento in un proprio scritto del 1868, riuscì a giungere a Roma il 26 giugno grazie alla via del Tevere.
Tali volontari, dopo 14 giorni di soggiorno segreto nella futura capitale d'Italia, esortati dallo stesso Garibaldi, desistettero dall'impresa e ritornarono nel patrio suolo, mentre coloro che erano stati arrestati come Pietro Faustini, Giuseppe Moscatelli o Ferdinando Escala vennero condotti presso il carcere delle Murate a Firenze, per far ritorno, successivamente, a Terni ove si sarebbe dovuto svolgere il processo, in seguito interrotto grazie ad una provvidenziale amnistia. Furono in molti a criticare l'organizzazione e la conduzione di codesto movimento soprattutto all'interno dell'ambiente garibaldino, del quale faceva parte Gustavo Frigyesi, il quale, nel proprio scritto L'Italia del 1867, attribuì la causa del fallimento della spedizione di Terni a molteplici fattori. Fra questi egli sottolinea le divergenze tra il Comitato Nazionale Romano avente posizioni monarchiche e quello di Firenze creato dal Generale, l'ingenuità con cui quest'ultimo affidò la direzione del movimento a degli inetti, la denuncia che di esso venne effettuata presso la polizia sabauda e a quella che egli definì l'infausta politica del Rattazzi, ma è chiaro che coloro che più vennero delusi dall'epilogo di tale insurrezione furono i patrioti ternani e, primo fra tutti, Pietro Faustini.
Quest'ultimo, infatti, assieme ai propri amici e compagni, credette ciecamente in ogni battaglia che veniva combattuta in nome della grandezza e dell'indipendenza d'Italia, mantenendo inalterata la propria ardente fede nonostante prigionie e disfatte, soffrendo quando il giogo straniero piegava nuovamente la libertà della nostra nazione e gioendo quand'essa indomita fieramente si rialzava. Ad egli ed ai Ternani che consacrarono la propria vita all'italica causa al grido di Roma o Morte, presso l'oramai in rovina casa di Pescecotto, venne posta un'epigrafe per volere del deputato Edoardo Pantano. Essa recita: Qui si Raccolse Nel 1867 Intorno a Pietro Faustini il Primo Manipolo della Gloriosa Falange che al Lampo Fatidico di Garibaldi attraverso la Grande Epopea di Mentana aprì la via alla Conquista di Roma
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Il 31 gennaio del 1892 Pietro Faustini moriva, a soli 66 anni, lasciando nella costernazione e nel lutto la città di Terni e l'Italia repubblicana.
Una lunga malattia ne aveva stroncato la fibra, minata da anni di disagi e fatiche, persecuzioni ed eroismi, ansie e dispiaceri.
Immane il cordoglio, dilatato dalle cronache dei giornali. Scrissero di Lui organi di società e circoli democratici, come il Folchetto e il Don Chisciotte, fogli locali quali l'Unione Liberale di Terni e l'Avvenire del Lazio, a tiratura nazionale come il Secolo di Milano e Il Messaggero di Roma. Quest'ultimo riferiva addirittura quotidianamente del suo stato di salute.
Nel suo ultimo servizio si leggono i tratti essenziali dell'uomo e la storia del patriota.
“La morte di Pietro Faustini - scrive - è un vero lutto per la Nazione e la Democrazia […] di carattere fiero e indomito, era nato per le cospirazioni e le grandi audacie [...] fu sommamente caro a Giuseppe Mazzini e in confidenza con Saffi, Quario, Campanella e tutti quei Grandi, che al pari di Lui spesero la propria vita alla redenzione della Patria [...] cuore grande e generoso, fu la provvidenza degli emigrati politici [...] amico e compagno di Garibaldi, lo seguì in tutte le sue epiche imprese […]”.
La città di Terni, conscia che “[...] nessuna onoranza di popolo sarà mai eccessiva per uomini come Lui, che promulgano coll'esempio quella grande religione civile dei doveri e dei diritti, che sorgerà sulle rovine della superstizione e del calcolo [...]” riservò al suo illustre figlio imponenti funerali, a spese della Municipalità e coordinati da un comitato presieduto dal Sindaco. Lo componevano, tra gli altri, Rinaldo Giannelli, deputato alla Costituente Romana, l'imprenditore Virgilio Alterocca, il prof. Cesare Aroldi, l'avv. Stefano Lazzari e Cesare Molinari. trombettiere a Mentana.
Alle esequie parteciparono 10.000 persone, sindaci e amministratori dei comuni dell'Umbria e regioni limitrofe, le rappresentanze di 250 tra circoli ed associazioni provenienti da ogni parte della Penisola.
Messaggi di cordoglio giunsero da vecchi commilitoni e rappresentanti della democrazia umbra; da vecchi repubblicani come Ettore Ferrari e Giovanni Nicotera; uomini politici come Seismit Doda e Cesare Fani; dal G. M. della Massoneria Adriano Lemmi, che si fece rappresentare dall'ing. Torricelli, M:.V:. della LoggiaPetroni, di cui il Faustini era stato uno dei fondatori.
Il feretro era circondato da garibaldini in camicia rossa, tra i quali spiccava “la figura maschie e possente di Menotti Garibaldi”. L'accompagnavano il suono di 6 fanfare e lo sventolio di 60 e più vessilli. Al suo passaggio i negozi abbassavano le saracinesche, da finestre e balconi scendevano bandiere abbrunate. Tutti s'inchinavano reverenti all'uomo, al patriota, al soldato Pietro Faustini.
Al cimitero parlarono il repubblicano Luigi Vannuzzi per il Comitato, il segretario comunale, Cesare Massi, per la Massoneria, il gualdese Guerriero Guerrieri per la democrazia umbra. Infine Gustavo Giansanti, sindaco di Terni.
Un passo del suo discorso “[…] Egli comprese fin da giovinetto i tempi nuovi e si diede a cospirare nella sua città per la libertà [...]” ci aiuta a conoscere la figura e l'opera di Pietro Faustini.
Nasceva il 21 novembre del 1825 da Francesco, agiato possidente, aperto alle novità dei tempi, e da Barbara Guardassi, sorella di quel Francesco Guardabassi, battezzato per i suoi meriti “il Babbo dei Perugini.
L'educazione familiare e l'esempio dello zio lo spinsero ad abbracciare le idee rivoluzionarie, che trovavano terreno di cultura nelle sette prima e nella Giovane Italia poi. Si può così capire l'altro passo “[...]carbonaro e massone, coniugava in sé il precetto mazziniano di “Pensiero ed Azione”.
Giovanissimo fu Venerabile della Vendita ternana e combatté a Roma nel ‘49 a difesa della Repubblica, incaricato dal Triunvirato di approntare le fortificazioni della città e dal Governo Nazionale di reclutare volontari nella Provincia Umbra.
La fede e l'amicizia con Garibaldi lo porteranno a partecipare a tutte le campagne successive, come aiutante del Nizzardo, che di lui scrisse. “[...] sebbene non fosse effettivamente nominato ufficiale, giacché mai né mostrò il desiderio, per la di lui ammirabile abnegazione e il disinteresse patriottico lo si teneva in molto conto”.
A Terni Pietro Faustini era un leader del movimento, ne diventava il capo indiscusso con l'arresto di Federico Fratini, la morte di Paolo Garofoli e il passaggio di Massarucci tra i moderati. Col tratto distintivo di "Leonida" si relazionava agli altri comitati dell'Umbria, della Toscana e del Lazio, con quello reatino in particolare, mantenendo viva ed efficiente la trafila.
Raccolse volontari per i Cacciatori delle Alpi e i fondi per “Un milione di Fucili”. Desideroso d'azione, nel ‘60 chiamava la regione alla rivolta, frenato dai monarchici della Società Nazionale e dai timori dei perugini, shoccati dalla violenta repressione dell'anno precedente.
Nel marzo fu arrestato a Spoleto, in Agosto costretto a rifugiarsi a Firenze. Per il Cavour l'Unità d'Italia doveva compiersi col timbro di Casa Savoia. Fuori dai piedi, quindi, mazziniani e garibaldini, mentre Vittorio Emanuele scendeva verso Napoli, coi piemontesi che liberavano l'Umbria e le Marche, Masi e i Cacciatori del Tevere Orvieto Montefiascone e Viterbo.
In verità Terni s’era liberata il 18 settembre, quando una manifestazione di popolo aveva consigliatodelegato apostolico e birri pontifici ad abbandonare la città. Ancor prima dei bersaglieri del gen. Brignone, il 20 arrivavano in città due colonne di volontari, una da Amelia, l'altra da Rieti, con a capo Ludovico Petrini, incaricato d’inventariare armi e suppellettili nella caserma di S. Croce a Narni, dopo la sua liberazione.
Pietro Faustini poteva così tornare a Terni, dove gli fu affidato il comando di una delle quattro compagnie della Guardia Nazionale.
Conservò inalterata la fede repubblicana e riprese a cospirare per la liberazione di Roma e la cacciata dello straniero dalla Penisola. Nel maggio del 1862 scampava alla “fucilazione di Sarnico”, a fine agosto era sull'Aspromonte, accanto al Nizzardo. Arrivava infine il glorioso 1867, anno ricco d'eventi, che vide Pietro Faustini capo riconosciuto del comitato rivoluzionario ternano, come attestava l'autografo di Giuseppe Garibaldi: “[...] per non aver mai mancato agli incarichi affidatigli lo si volle finalmente onorare nel 1867 del grado di Presidente del Comitato insurrezionale per la liberazione di Roma [...]”.
Affiliato a quello Nazionale di Firenze, manteneva stretti contatti con quelli limitrofi, tra cui il reatino, capitanato da Ludovico Petrini. Aveva sede nel suo palazzo, al centro di Terni. Ma una stamberga sulla riva del Nera, nei pressi di Ponte Romano, gli consentiva di raggiungere, non visto, il Casino di Pescecotto, una costruzione tetragona, isolata nel mezzo della campagna, dalla cui altana si spaziava sull’intera conca ternana.
Nel giugno del 1867 due ufficiali garibaldini si presentarono a Pietro Faustini con una lettera di Giuseppe Garibaldi: “Vanno a vedervi il capitano Valeriano Perelli ed il sottotenente Giacomo Galliani per consultarvi sulla Ferriera Berthè che voi conoscete”. Contenuto interpretato come un segnale convenzionale, l'invito a passare all’azione.
La sera del 18, favoriti dalle tenebre, 104 giovani ternani, 105 secondo il Mezzetti, scivolaronofuori le mura e si raccolsero a Pian di Maratta, nel casino di Pescecotto. Rifocillati con un piatto di fagioli e unbicchiere di vino, furono inquadrati militarmente e armati coi fucili, nascosti “fin dai tempi di Aspromonte” nel convento delle Grazie.
Collo schioppo in spalla, un tozzo di pane e una crosta di formaggio nella bisaccia, s'avviarono all’albaverso il confine, decisi ad invadere il Regno Pontificio e liberare Roma.
Furono fermati dall’Esercito Italiano, appostato sui monti della Fara. La maggior parte di essi presi e rinchiusi nelle carceri di Rieti e di Narni; preda dei birri papali quanti riuscirono a varcare il confine; arrestati nella quiete delle loro case i pochi, tornati in città, , dove trovarono ad attenderli i carabinieri.
Tra questi Pietro Faustini, che dopo aver incontrato Garibaldi a Firenze, si presentò spontaneamente in commissariato. Tradotto nelle carceri fiorentine delle Murate, fu poi liberato per intercessione di Francesco Guardabassi, senatore del Regno.
Un fatto d’armi, l’impresa di Pescecotto, caratterizzato dall’improvvisazione e macchiato dal tradimento, ma che ebbe l’effetto di riaccendere gli animi dopo l'infausta giornata d’Aspromonte. Di lì a qualche mese infatti, come scrisse Cesare Pascarella, “a Terni fu l’appuntamento”. Nella nostra città cominciarono ad affluire giovani da tutt'Italia, che il Comitato per l’Affrancamento di Roma, organizzava e spediva in Sabina, dove era ad attenderli Menotti Garibaldi, mentre da casa Fratini s'avviava la spedizione dei fratelli Cairoli.
Garibaldi, da Caprera fuggiasco, raggiungeva qualche giorno più tardi Rieti, accompagnato da Pietro Faustini e Jessie White Mario.
Le falangi garibaldine trovarono il loro olocausto a Mentana, gli altri a Villa Glori, di fronte ad una Roma insensibile e dormiente. Due pagine gloriose del nostro Risorgimento, che non sarebbero state mai scritte senza l'impresa di Pescecotto, come si legge sulle mura di quel casino di campagna: “Qui si raccolse nel 1867, intorno a Pietro Faustini, il primo manipolo della gloriosa falange, che al lampo fatidico di Garibaldi, attraverso la grande epopea di Mentana, aprì la via alla conquista di Roma”.
Terni tutta s'era adoperata per la Campagna dell’Agro Romano. Aveva accolto i volontari e cantato con loro “A Roma anderemo, a Roma anderemo”. Accolse dignitosa i reduci, piangendo i morti, curando i feriti e rimpatriando i superstiti a proprie spese. Una partecipazione che spinse Pietro del Vecchio ad ammettere “Fra le tante città ch 'io visitai, a tutte Terni mi parve superiore per patriottismo” e a definire Pietro Faustini “il Garibaldi di Terni”.
Dissoluto il patrimonio a sostegno del movimento, si rimboccò le maniche, dedicandosi al lavoro dei campi e allo studio del territorio. Senza soldi e tra mille difficoltà, anche i librai gli negavano i testi, dopo 20 anni di ricerche, scoprì col figlio Giunio a Colle dell’Oro giacimenti di lignite, colla cui cessione alla Società delle Acciaierie risollevò le proprie finanze
Repubblicano integerrimo osteggiò sempre il governo dei moderati e il risorgente clericalismo. Riferimento costante della democrazia locale, chiamava a Terni a tenere conferenze intellettuali, oratori di grido ed esponenti della sinistra parlamentare , come Bovio, Cavallotti, Imbriani e Antonio Labriola.
Perseguitato dal governo dei Papi, fu inviso pure a quello regio, che lo arrestò più volte. Successe anche il 5 Maggio del 1889, dopo i festeggiamenti per l’anniversario della Repubblica Romana. Subì un processo e una foto del tempo lo ritrae, Lui, amante della libertà e campione della democrazia, dietro le sbarre del tribunale di Spoleto, la stessa, che tappezzava la sua camera ardente.
Perché “il ricordo e la tradizione orale si trasformino in historia” il Comune volle gli fosse dedicare la via, dove abitava. A cancellarlo dalla toponomastica cittadina i bombardamenti alleati e la scelta dell'arch. Ridolfi di lasciare uno squarcio nel tessuto cittadino, l'odierna Villa Glori, a testimonianza del dramma e degli orrori della guerra. Più verosimilmente una sorta di “dannatio memoriae” per l’omonimia col nipote, Presidente della Provincia di Terni, durante la Repubblica di Salò. Vi sarebbe tornato, a 120 anni dalla morte, colla scritta “già via Pietro Faustini” e la rotonda di via Narni. Un atto dovuto verso l’Eroe, una rinascenza per Pietro Faustini cui l'amico e poeta Guerrieri aveva profetizzato:
“Dormi buon veglio infin che l'ideale/
torni gl'itali cuori a invigorir”.
Tenuta Due Laghi 24 giugno 2013-06-23 .Convegno Associazione Storica per la Sabina. Sergio Bellezza
SERGIO BELLEZZA
Nato e cresciuto a Collescipoli (Terni) si è diplomato Perito all'ITIS di Terni e laureato in Chimica alla Sapienza di Roma. Ha insegnato per tanti anni "Chimica" all'Istituto Industriale. Cultore di storia locale, da più di 10 anni tiene una rubrica settimanale dal titolo "Terni Ieri" su Corriere dell'Umbria". Scrive per riviste culturali e partecipa a convegni di studio. Ha pubblicato i testi: "Terni a Giuseppe Garibaldi" "Dal fascismo alla Repubblica. Appunti per una storia della Resistenza a Terni", "Terni dal Regno Pontificio allo Stato Unitario".